Stefania Colombo/ novembre 24, 2019/ Dominique Cappa/ 0 comments

Ieri mattina, due miei pazienti, si sono ricordati di episodi molto dolorosi in cui sono stati umiliati e hanno vissuto una profonda vergogna non elaborata ma che, senza che se ne rendessero conto, ha influenzato fortemente il corso delle loro vite.

Luisa era una bambina estremamente vivace e creativa, che non stava mai ferma, anche perché abitata da una vorace curiosità.
Le insegnanti l’avevano spesso umiliata davanti a tutti dandole della matta e invitando i genitori a portarla a fare diversi test psico-neurologici (che ovviamente non hanno mai evidenziato nulla se non un’intelligenza molto viva ma una carenza d’affetto). Da grande ha trovato la sua strada facendo un lavoro creativo, ma si è accorta che in tutti questi anni (adesso ne ha 56) non ha mai provato a proporsi a case di moda più importanti. Inoltre quando le proponevano lavori di maggior responsabilità creativa riusciva in qualche modo a boicottarsi, soprattutto litigando con i capi e finendo per dover cambiare posto di lavoro ricominciando tutto da capo. Oggi mi diceva che senza accorgersene, si proteggeva dal rischio di rivivere quel senso di umiliazione che era stato devastante quando era una bambina.

Ma può anche accadere il contrario, e cioè si può vivere lottando con le unghie e con i denti per compensare quella sensazione, perdendo di vista altri importanti bisogni della propria vita.

Alberto era un bimbo un po’ goffo e cicciottello, preso in giro dai compagni e in casa continuamente paragonato al fratello più grande, bello e ammirato da tutti.
Crescendo tutte le sue energie le ha messe nel cercare (a qualunque costo!) l’ammirazione degli altri, ed essendo in verità dotato veramente di grandi talenti, ha fatto una carriera vorticosa, arrivando a dei vertici sempre più alti e ottenendo sempre più ammirazione e adulazione. Il costo di tutto questo è stato altissimo, le sue energie sono state spese prevalentemente nella carriera, con poco tempo per se e per la sua famiglia. Ad un certo punto si è trovato a perdere il lavoro e di colpo si è trovato a risperimentare dolorosamente il suo senso di vergogna e indegnità, sepolto in fondo al cuore da tanti anni.

La vergogna è un sentimento complesso, essenzialmente relazionale, strettamente connesso a un senso di sfiducia rispetto alla possibilità di mostrarsi e farsi vedere per ciò che si è: induce a nascondersi, o a nascondere quegli aspetti di noi che riteniamo “vergognosi“. Spessissimo il senso di vergogna è sepolto dentro di noi e non ne cogliamo più la potente influenza. Ci si può sentire insicuri ad esprimere le proprie opinioni, o le proprie preferenze, ad esporre delle idee, o ciò che si prova, o come ci si muove nel mondo, o come si agisce. La vergogna può anche riguardare il proprio aspetto fisico, o le proprie radici famigliari, culturali o sociali.
Quello che è certo è che si tratti di un sentimento intensamente doloroso e bruciante dal quale si cerca di scappare in vari modi, come abbiamo visto nelle due storie raccontate sopra, anche se poi alla fine quello che accade davvero è che si prova a scappare da se stessi, dal sentimento di essere imperfetti e quindi indegni d’amore e di appartenenza.

Anche se sono davvero dolorosi questi stati d’animo, poterli incontrare, percepirne tutta la bruciante portata psicologica e contemporaneamente corporea, accoglierli e finalmente non cercare vie di fuga da se, ha un enorme potere di guarigione.
Perché può cominciare così la nostra integrazione, possiamo recuperare la nostra interezza.
So che è controintuitivo, ma ascoltare quella vergogna antica, attraversarla anche se è molto doloroso, è la strada che finalmente libera dalla costrizione di emulare dei modelli (il forte, la brillante, la ribelle, il sicuro di sé, etc.) e si liberano delle energie che portano a non avere paura di essere quello che si è.

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