Illustrazione: Tracy Walker
Quanto maneggiamo con cura noi stessi e gli altri? Quanto spesso ci capita di distrarci dalla consapevolezza che siamo materiale umano, ossia un misterioso e prezioso insieme di corpo, cuore, anima, spirito? Che gioiamo, soffriamo, amiamo, odiamo, abbiamo paura, abbiamo coraggio? Che siamo un meraviglioso insieme di forza e fragilità, di unicità e di comunanza, di bisogno di ricevere e di bisogno di donare? Che c’è un io e un noi?
Relazionarci a noi stessi e agli altri con cura è un nostro diritto, dovere e responsabilità quotidiani.
La metafora del “maneggiare con cura” è utile perché ci fornisce degli indicatori, molto semplici, che possiamo richiamare frequentemente, per allenarci a questo diritto, dovere, responsabilità.
Decine di volte nella vita abbiamo maneggiato con cura degli oggetti, e possiamo provare ad abituarci ad espandere quell’attitudine per il maggior tempo possibile.
Quando maneggiamo con cura, siamo attenti e concentrati, consapevoli dei nostri movimenti ma altrettanto consapevoli di ciò che stiamo maneggiando e della sua importanza.
Innanzitutto coltiviamo attenzione: accorgiamoci se siamo troppo distratti, se abitiamo per un tempo troppo lungo nei nostri pensieri o se ci facciamo catturare da programmi, liste di cose da fare, pensieri sul passato, sul futuro, giudizi, preconcetti, va bene, va male, dovrei, dovrebbe e così via.
La cura infatti richiede presenza e coinvolgimento. Possiamo proprio dircelo: torna qui, stai nel presente!
Io per esempio uso maggiormente la vista e il respiro: metto consapevolmente a fuoco ciò che mi circonda in questo momento e mi ancoro al mio respiro.
Ciò che sta accadendo ora è importante, sempre!
Nella cura è necessaria una oscillazione dell’attenzione fra interno ed esterno, e, fuori di metafora, fra i nostri bisogni e quelli degli altri. Possiamo allenarci a fare più volte un check per accorgerci se la nostra attenzione è eccessivamente rivolta all’interno o all’esterno: a volte diventiamo il centro del nostro universo, altre volte invece ci perdiamo completamente di vista e guardiamo solo fuori di noi.
Spesso accade che se siamo concentrati solo su di noi ci lamentiamo, rimuginiamo, pretendiamo, accusiamo. Non è abbastanza l’attenzione che sentiamo di ricevere. Siamo più sul versante dell’isolamento che del coinvolgimento. Altre volte invece il coinvolgimento è eccessivo e ci perdiamo: ad esempio lavoriamo troppo, ce la prendiamo troppo, non ci accorgiamo di darci davvero poca attenzione.
Maneggiare con cura comporta un equilibrio di delicatezza e fermezza: troppa fermezza rischia di trasformarsi in rigidità e troppa delicatezza in una mancanza di confini. Quando ci irrigidiamo perdiamo di vista l’altro umano con cui ci stiamo relazionando, se siamo troppo morbidi l’umano che perdiamo di vista siamo noi.
Naturalmente l’equilibrio fra delicatezza e fermezza riguarda anche il rapporto con noi stessi: facciamo attenzione se ci diciamo troppi “si” o troppi “no”. I “si” e i “no” che ci diamo sono espressione della nostra saggezza, della nostra capacità di tenere uno sguardo ampio che tiene conto della complessità.
Eh sì, perché la vita è complessa, noi siamo complessi e le relazioni sono complesse. Per non affrontare questa complessità noi tendiamo invece a semplificare, rendendo poi in realtà tutto molto complicato. Cioè, complicandoci la vita.
Il benessere è davvero connesso all’equilibrio, ossia a quell’oscillare fra noi e gli altri, fra apertura e chiusura, fra riposo e attività, fra prendere e lasciare andare, fra si e no, fra accorgerci di quello che è in nostro potere e quello che non lo è, fra un momento opportuno e un altro che opportuno non è. Per oscillare e non stare sulle montagne russe, per oscillare e non stazionare troppo a lungo in una posizione o nell’altra dobbiamo restare vigili.
Essere vigili non significa controllare continuamente o non potersi rilassare, anzi, significa proprio avere cura, trattarsi e trattare con cura, essere responsabili, e cioè essere intenzionati a cercare una “risposta abile” a ciò che la vita ci mette davanti ogni istante della nostra esistenza.
Concludo con la frase che diceva a me la mia terapeuta e io ai miei pazienti “la mamma non va mai in vacanza, è sempre presente per te”.