“Ereditiamo dai nostri genitori l’idea di cosa siamo capaci di fare, cosa possiamo e non siamo sentire, cosa possiamo e non possiamo esprimere, ereditiamo, quindi, l’idea di cosa possiamo essere o diventare. Sono davvero poche le persone che mettono da parte questa “eredità” per muoversi alla scoperta di se stessi.”
(Psicoadvisor)
Avventurarsi alla scoperta di chi siamo veramente non è facile, questo perché l’essere umano ha bisogno di identificarsi in un’idea di sé, un’identità che ci siamo costruiti nel tempo, o meglio, come dice la frase sopra riportata, un’identità che si è costruita nel tempo grazie all’influenza delle figure di riferimento fondamentali per noi.
I nostri genitori per primi, e chi è stato importante per noi poi, fungono come specchi rimandandoci fin da piccoli un’immagine, una definizione di come siamo o come dovremmo essere.
Anche se quest’identità ci fa soffrire, o ci imprigiona, o non corrisponde realmente a ciò che siamo veramente, è difficile liberarsene perché, perdere la propria identità e non sapere più chi si è veramente è spiazzante per la mente umana.
Spesso, inoltre, quest’idea non comprende solo le caratteristiche fisiche e psicologiche della nostra persona ma anche ciò che possiamo o non possiamo fare, ciò che possiamo o non possiamo esprimere, cosa possiamo o non possiamo permetterci all’interno delle relazioni.
Molte persone non sanno di saper fare certe cose solo per il semplice motivo che non le hanno mai fatte. Per esempio, cosa vogliamo dire quando diciamo la frase: “Questa cosa non fa per me.”?
Vogliamo dire che abbiamo provato a farla e abbiamo scoperto che non era per noi, vogliamo dire che non l’abbiamo mai fatta, o vogliamo dire che ci hanno insegnato a non farla?
E ancora: quando diciamo la frase: “Io non posso piangere”, a cosa ci riferiamo?
Vogliamo dire che non siamo capaci di piangere, vogliamo dire che ci hanno detto che non potevamo farlo, o che venivamo sgridati, umiliati o allontanati se piangevamo?
In altre parole, sentirsi insignificanti, stupidi o incapaci potrebbe non equivalere a esserlo veramente e potrebbe non essere neppure al modo in cui gli altri ci vedono.
E vale anche per il contrario ovvero, sentirsi perfetti, invincibili, forti, sempre capaci potrebbe non essere una realtà.
Chi siamo dunque veramente, quali sono i nostri punti di forza? Quali sono i nostri difetti? E i nostri limiti e i nostri pregi?
Risulta a questo punto ovvia l’importanza di riappropriarsi del proprio essere, per diventare davvero padroni della propria vita. I passaggi che aiutano in questo viaggio, che è una sorta di ritorno a casa, prevedono la volontà di mettersi in gioco superando le proprie difese e uscendo dalle proprie aree di comfort.
Bisogna affinare la propria capacità di auto osservazione, la consapevolezza su di sé, sui propri bisogni profondi, nonché esercitarsi a praticare l’accettazione dei nostri limiti delle nostre imperfezioni e della nostra umanità.
La psicoterapia può essere un valido aiuto in questo viaggio perché cambiare significa sempre, almeno un po’, agirsi contro: è una sorta di salto nel buio perché richiede di abbandonare certezze consolidate in anni di azioni e pensieri abitudinari, di accettare di perdere quella parte di noi alla quale, per quanto sia fonte di sofferenza, siamo aggrappati con tutte le forze.
Presuppone, insomma, la disponibilità a rinunciare alla protezione rassicurante di un certo modo di pensare, di sentire di agire.
Una fatica che vale la pena fare poiché conoscersi è una sfida appassionante. È il punto di partenza per rincorrere il cambiamento, per andare alla conquista di desideri, progetti e relazioni che desideriamo.
Come penso, cosa sento, attraverso quali occhi voglio vedere il mondo, cosa mi emoziona, come entro in relazione con gli altri, cosa e chi vorrei nella mia vita, sono tutte domande a cui meritiamo di dare noi la nostra personale risposta.
“Un giorno, da qualche parte, ovunque, immancabilmente, tu troverai te stesso, e quella, e solo quella, può essere l’ora più felice o più amara della tua vita.”
(Pablo Neruda)