Un aspetto interessante e curioso di noi umani è che le nostre paure più profonde, intense, e a volte inconsapevoli, riguardano gli altri. Abbiamo paura del giudizio, del rifiuto degli altri, e fondamentalmente, temiamo di non essere amabili. E non sto certamente parlando esclusivamente dell’amore romantico.
Contemporaneamente, gli altri sono il nostro principale oggetto d’amore e di desiderio.
Cedere ai nostri sentimenti d’amore, di tenerezza, al nostro imprescindibile bisogno di relazione e di accettazione, è quello che ci suscita il maggior stato di allerta. Quindi ci chiudiamo per difenderci dal pericolo.
Quando siamo difesi siamo chiusi e ci precludiamo esattamente ciò di cui abbiamo bisogno: la connessione.
Naturalmente non siamo sempre così: ognuno di noi ha la propria storia e le aree relazionali più semplici, quelle in cui siamo tendenzialmente più aperti.
Alcuni sono a proprio agio nell’area delle amicizie, altri con i bambini piccoli. Altri ancora sentono meno il bisogno di difendersi con persone del proprio sesso o del sesso opposto. Altri con le persone più grandi o con quelle più giovani, con i propri famigliari o con le persone che non appartengono al proprio gruppo famigliare. Altri ancora con il proprio partner o con i propri figli.
Più forte è la paura di essere feriti, maggiore è la frequenza con cui ci chiudiamo e ci pare indispensabile difenderci.
Dentro di noi esistono stati d’animo divisivi e stati d’animo cooperativi, di comunione, di connessione. Entrambi sono indispensabili e il più delle volte sono utilmente mescolati con gradazioni differenti.
La vita relazionale umana, che poi è vita umana e basta perchè se siamo umani non può che esserci relazione, è un grande sistema di connessioni: noi possiamo scegliere di dare importanza alle parti o al tutto.
Un eccesso di importanza dato alle parti porta all’individualismo, un eccesso di importanza dato al tutto porta alla perdita del senso di sé, della propria individualità.
Ognuno di noi ha una tendenza più automatica, ma in realtà sono essenziali entrambe. Quello che è utile è cercare un equilibrio, non farsi catturare dalla semplificazione che ci porta a dire aut aut, ma mirare alla congiunzione. L’uno e l’altra. Quella particella, la “e” è fondamentale.
Prova a farti questa domanda, proprio ora: tendo alla divisione o alla comunione?
A volte pretendiamo di creare unione a partire dalla nostra parte bellica!
Tutti noi lo facciamo, crediamo di amare, o di amarci, ma lo facciamo da una posizione divisiva. Quante volte abbiamo detto “io ti amo tanto, ma tu sbagli! Io ho ragione, tu devi fare come dico io. ”Non so voi, ma io davvero tante, tante volte: ci casco e ci ricasco, e ovviamente con le persone per me più importanti.
Sovente capita che chiediamo comunione senza occuparci del nostro stato di fondo in quel momento lì.
Senza chiederci seriamente: ora, proprio in questo momento, sono in uno stato tendenzialmente unitivo, o senza rendermene conto (o forse inconsciamente) sono in uno stato bellico, o comunque divisivo, di separazione? Quello che sto comunicando in questo momento può essere viziato da questo stato d’animo?
Rispondere onestamente a questa domanda è un’apertura a noi stessi, un regalo che ci facciamo. Dopo può cominciare un orientamento al proprio stato di connessione, ma sono continui inizi, infiniti presenti.